I testi che qui pubblichiamo fanno
parte di una raccolta di poesie ancora inedita dal titolo “Vivaio” di Sergio
Rotino, poeta, scrittore, critico letterario, tra gli esponenti più
rappresentativi della poesia a Bologna.
Il nucleo generativo di questi
componimenti è la scomparsa di una persona cara, tema che si esplicita intorno
alla simbologia della rosa: “la rosa che/non ha/fame la/rosa che non/ha sete la
r/rosa che/decresce/nel suo splendore di/rosa reale//oh rosa c/che dal
suo/protratto sonno/più non/esce più perpetra/il suo ad altri/fatto danno”.
Il senso di una perdita archetipica
che agisce nel profondo, si estende al ciclo vitale dell’esistenza: “abbaia la/terra
il suo bisogno/di acqua ora/che è vecchia ora che è secca//intubati i fiumi/a
goccia/a goccia/a goccia/gocciando negano/senza pausa quanto/era bocciolo
quanto/velluto di rosa”.
Così nell’incedere di un tempo
scandito dall’assenza, che segna nella voce del poeta il labile confine di uno
sperdimento, sembra che le parole non riescano più a emergere, a definirsi,
come se davanti non ci fosse più nulla, la realtà svanisse, non fosse più
nominabile.
Prevale allora nel verso, in una
lunga, ininterrotta sequenza, l’ellissi, il singulto che tronca le parole, le
consonanti, toglie il fiato e ci conduce in un mondo di visioni rapide e
concise.
Ma non si tratta di una poesia che
annulla, piuttosto di una poesia che crea sul vuoto. In questo movimento non
omogeneo del respiro che mescola flusso di coscienza e una scansione densa
di riflessioni, affiorano metafore,
aperture allusive, interferenze, in cui la parola esprime una qualità multipla,
polimorfa, modulata da cortocircuiti e antitesi, figure della coesistenza di
opposti attorno alle immagini di vita e morte. Momenti topici di questi
componimenti, dove l’asprezza del dolore è sempre contenuta in una fermezza
misurata che stabilisce un contatto con l’intelligenza. Quella di Rotino è una
poesia che evitando ogni retorica dei sentimenti, sa guardare con distanza e
mai con distacco la ferita più acuta come quella del lutto, con versi che
tuttavia sembrano scritti per contrastare un silenzio assoluto. Al
dissolvimento della consistenza del mondo esterno, fa infatti da riscontro
l’espansione del paesaggio interiore che si percepisce per i colori, il dono di
emozioni e bellezza che ci offre.
Ed è questa resistenza, questa luce
nello sguardo che nasce dentro ciò che è fragile e provvisorio, la sola strada
che induce l’autore a trattenere qualcosa che va al di là della fine:
“tenerci/ai fiori e/riconoscerli/saperli coltivare/oltre//questo dovrebbe/questo
preme”. Per farlo Rotino prosegue il suo lavoro sulla lingua senza
scomporre la volontà di rilevare, precisare, salvare quanto accade, registrando
ciò che si perde e ciò che si può ancora scoprire di noi stessi.
Bruno Brunini
VIVAIO
alla fine
si regalano sempre
fiori
gigli o rose private
dalle spine nettate
dagli affanni
persino viole si regalano
un nulla che al nulla
duole brucia
inesausto del suo male
comunque si regalano
questi non sento
per sempre bellissimi dietro
cui sostano da millenni
fiumane di rancori
la lingua che
a stento li trattiene
perciò lei
manda avanti colori
profumi lei
manda
leziosi quanto il suo tocco
ricordo degli umori
delle colpe
ma dentro la bocca loro
stanno più profondi più
immarcescibili del danno
provocato nel suo abisso
scuro stanno dove
batte il nocciolo
duro dichiarato amore
stanno
lì dove
sorgono
metropoli innalzate
dai nostri cuori porzioni
indivisibili di quanto
siamo anche se mai
riusciamo a
vederne i colori
perché nascoste sono dietro
il profumo così nascoste
ai loro fiori
*
inaspettate sbocciano
rose dentro l’interminata
estate del danno
non hanno profumo
seccato è in loro
il sangue spezzato
sarà il loro
gambo orma cauta
di tanto sperare
un grumo
il male per il male
spezzato sarà
sangue e rose
i gesti crepati
per questo solo
al termine del respiro
stiamo soli
a guardare altrove
guardando il finire fatto c
concreta cosa ultima
lacrima
dalla soglia oramai conclusa
sradicate dunque siano l
le sue perdute rose
*
la rosa che
non ha
fame la
rosa che non
ha sete la r
rosa che
decresce
nel suo splendore di
rosa reale
oh rosa c
che dal suo
protratto sonno
più non
esce più perpetra
il suo ad altri
fatto danno
*
pensare a un
altro colore
ves
vestiti di altro
colore di
viole forse f
forse del bianco
delle rose ancora non
legate
gambo a spine
attesa a bocciolo
pensare al male a
al colore poi
solo
*
abbaia la
terra il suo bisogno
di acqua ora
che è vecchia ora
che è secca
intubati i fiumi
a goccia
a goccia
a goccia
gocciando negano
senza pausa quanto
era bocciolo quanto
velluto di rosa
*
si spegne si
è spento
inizio di rosa
una volta
c’era mai
più torna indietro si t
torce
rinasce
in altra
altro fiore a plasmarlo
diventa
che riconosce
nessuno di quanto
una volta c’era
era
dal profumo ridotto
a punto
a centro oscuro
al pianto
*
tutto si accende
un attimo
luminosi fiori
richiesta
di grazia di
giusta fine
nostra parola
sola dove sempre eri
sempre resti sempre b
bocciolo che
rinnova
polvere
di noi
seme
tenerci
ai fiori e
riconoscerli
saperli coltivare
oltre
questo dovrebbe
questo preme