Cercare
la traduzione delle proprie inquietudini nello scorrere della vita degli
alberi, degli uccelli, nell’inclinazione della luce, come proiezione delle
ombre, dei soprassalti, delle ricadute del proprio io, è in Maurizi un
instancabile esercizio di decodificazione delle nebbie, delle incognite del
vivere quotidiano, del passato, dell’orizzonte che può ancora profilarsi.
Un
esercizio che in ogni testo si ritrova come un’onda che si spezza
nell’indifferenza del tutto. Nel tentativo di porre dei punti fermi, di
trattenere l’oggetto del proprio sguardo, renderlo permanente, fissarlo nel
proprio obiettivo, che alle volte si esprime nello smussamento di una parola,
altre volte in un piglio particolare, nella prospettiva scelta nel porsi verso
qualcosa. Sono tratti che distinguono il passo di un poeta, e naturalmente nei
versi, in modo impercettibile, sono impressi in modo da marcare la sua unicità.
Ma
il tema che inevitabilmente ritorna
nella sua raccolta “Attraverso la rete” (Manni, 2012), è il tempo, il senso dell’essere, dell’esserci. Questo ricamo
tra lucida osservazione e profondi nessi nelle corde del proprio sentire,
intreccia nella composizione, una
rete, invisibile forse all’occhio esterno, distratto, un labirinto in cui
comunque l’autore sa muoversi agilmente.
La
rete come comunicazione? Distanza? Impedimento? O forse rete come vita
“avviluppata da reti da muri”, “Ti guardo attraverso la rete…”. E come scrive
nella poesia “Negazione del giardino”: “Non è questo il nostro tempo”, Maurizi
si pone in un fuori scena problematicamente vissuto, come luogo dove però
l’autore torna a se stesso e dove nasce, con notevole cura del verso, la lingua
della sua poesia, che in un cortocircuito rompe il silenzio e instaura il
dialogo, che induce a cercare e a interrogarsi sulle ferite del tempo e del
vivere.
Bruno Brunini
Giovanni Maurizi è
nato a Fermo e dal 1966 vive a Bologna dove ha insegnato e lavorato presso
alcune biblioteche comunali. Suoi versi sono apparsi su quotidiani e riviste.
Nel 1985 ha pubblicato Idi e nel 2006
Canti essenziali (Manni), con
postfazione di Roberto Roversi
Sensazione di gelo bipartita
Solo tu ed io vegliamo al vento gelido
della segregazione. Il magistrato
consulta le sue carte e dorme sonni
tranquilli, il caso Moro è un boccone
indigeribile per il suo stomaco
e lui vuole dormire sonni tranquilli.
La neve s'accumula in questo inverno
torpido, imbianca alta i tribunali
le prefetture, il Quirinale eminente
e tutti dormono sonni tranquilli -
carcerato mal vivo in un cunicolo
scavato negli ipogei dello stato,
trafitto da un'arma elettromagnetica
-
schiavitù per i decenni avvenire -
non posso dormire sonni tranquilli.
* * *
La strada che mi porta alla tua casa
di adesso si snoda tra piante e prati
che a settembre e a marzo sono veri
vivai di primule e ciclamini
ma io li noto appena e col cuore
che duole medito la tua essenza
di creatura aerea e terrestre –
mentre un merlo saltella sullo steccato
e il buio rode l’acero campestre.
* * *
Un flauto mitigava il mio sconforto
mentre accarezzandoti i capelli
ascoltavo un valzer di Sostakovic –
tu giocavi anima mia come potevi
a quei lievi passaggi accanto al muro
e certo meno di me t’illudevi
ai miraggi del futuro.
Il
tempo redento
Se scorgessi come il tempo si snoda
e si riannoda tra questi stessi carpini
e tigli e
aceri campestri
in questo stesso parco non intatto
ma solcato da profonde crepe
forse potrei
anche scorgere gli indizi
del destino nella calma apparente
se il sole che ci riscalda è lo stesso
che fa
marcire –
ma un filo dei tuoi capelli riluce
tra le mie dita –
se una brezza leggera può mutarsi
nel vento rapinoso che tutto schioda
alle radici.
So ciò che dici
l’usignolo dal suo
nido tra il sambuco
e le ortiche lancia il suo canto vivo
che tenero si spande
nel meriggio di questa primavera
inoltrata non sirena dei boschi
ma addolcimento di un dolore oscuro
note che sgorgano liquide e pure
nel silenzio dell’ombra
e si perdono fin dentro le macerie
della casa colonica crollata
qui accanto – e subito si risveglia
il sibilo del silenzio lungo il lieve
pendio che scende verso il fiume lontano.
Tu parli per gioco così piano
che mi devo accordare al tuo respiro
e sorridi e nel cupo arrovellarsi
del cuore imprimi la ferita più fonda
e anche il balsamo che la risana
adesso che mi guardi fissamente
e il dentro e il fuori di questa casa
scompaiono inghiottiti
nel nulla che fomenta tutto intorno
neri prodigi di dissolvimento –
e la tua mano nella mano mi salva
dai tormenti della non esistenza
dopo
questa esistenza
dal vuoto che circonda i morti e i vivi.
(Giovanni Maurizi, da Attraverso la rete, Manni, 2012)
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