martedì 20 ottobre 2015

"Vivaio" Le poesie di Sergio Rotino a cura di Bruno Brunini


 I testi che qui pubblichiamo fanno parte di una raccolta di poesie ancora inedita dal titolo “Vivaio” di Sergio Rotino, poeta, scrittore, critico letterario, tra gli esponenti più rappresentativi della poesia a Bologna.

Il nucleo generativo di questi componimenti è la scomparsa di una persona cara, tema che si esplicita intorno alla simbologia della rosa: “la rosa che/non ha/fame la/rosa che non/ha sete la r/rosa che/decresce/nel suo splendore di/rosa reale//oh rosa c/che dal suo/protratto sonno/più non/esce più perpetra/il suo ad altri/fatto danno”.
Il senso di una perdita archetipica che agisce nel profondo, si estende al ciclo vitale dell’esistenza: “abbaia la/terra il suo bisogno/di acqua ora/che è vecchia ora che è secca//intubati i fiumi/a goccia/a goccia/a goccia/gocciando negano/senza pausa quanto/era bocciolo quanto/velluto di rosa”.
 
Così nell’incedere di un tempo scandito dall’assenza, che segna nella voce del poeta il labile confine di uno sperdimento, sembra che le parole non riescano più a emergere, a definirsi, come se davanti non ci fosse più nulla, la realtà svanisse, non fosse più nominabile.

Prevale allora nel verso, in una lunga, ininterrotta sequenza, l’ellissi, il singulto che tronca le parole, le consonanti, toglie il fiato e ci conduce in un mondo di visioni rapide e concise.
 
Ma non si tratta di una poesia che annulla, piuttosto di una poesia che crea sul vuoto. In questo movimento non omogeneo del respiro che mescola flusso di coscienza e una scansione densa di   riflessioni, affiorano metafore, aperture allusive, interferenze, in cui la parola esprime una qualità multipla, polimorfa, modulata da cortocircuiti e antitesi, figure della coesistenza di opposti attorno alle immagini di vita e morte. Momenti topici di questi componimenti, dove l’asprezza del dolore è sempre contenuta in una fermezza misurata che stabilisce un contatto con l’intelligenza. Quella di Rotino è una poesia che evitando ogni retorica dei sentimenti, sa guardare con distanza e mai con distacco la ferita più acuta come quella del lutto, con versi che tuttavia sembrano scritti per contrastare un silenzio assoluto. Al dissolvimento della consistenza del mondo esterno, fa infatti da riscontro l’espansione del paesaggio interiore che si percepisce per i colori, il dono di emozioni e bellezza che ci offre. 

Ed è questa resistenza, questa luce nello sguardo che nasce dentro ciò che è fragile e provvisorio, la sola strada che induce l’autore a trattenere qualcosa che va al di là della fine: “tenerci/ai fiori e/riconoscerli/saperli coltivare/oltre//questo dovrebbe/questo preme”. Per farlo Rotino prosegue il suo lavoro sulla lingua senza scomporre la volontà di rilevare, precisare, salvare quanto accade, registrando ciò che si perde e ciò che si può ancora scoprire di noi stessi.

                                                                  Bruno Brunini

 

 

                   VIVAIO
                  
                  
           alla fine 
 


si regalano sempre

fiori 
gigli o rose private
dalle spine nettate
dagli affanni
 
persino viole si regalano
 
un nulla che al nulla
duole brucia
inesausto del suo male 
comunque si regalano
questi non sento
per sempre bellissimi dietro
cui sostano da millenni
fiumane di rancori
la lingua che
a stento li trattiene
perciò lei
manda avanti colori
 
profumi lei manda
 
leziosi quanto il suo tocco 
ricordo degli umori
delle colpe 
 
ma dentro la bocca loro
stanno più profondi più
immarcescibili del danno
provocato nel suo abisso
scuro stanno dove batte il nocciolo
duro dichiarato amore 
stanno
lì dove
sorgono 
metropoli innalzate
dai nostri cuori porzioni
indivisibili di quanto
siamo anche se mai
riusciamo a
vederne i colori
 
perché nascoste sono dietro
il profumo così nascoste 
ai loro fiori 
*
 
inaspettate sbocciano
rose dentro l’interminata
estate del danno
 
non hanno profumo
seccato è in loro
il sangue spezzato
sarà il loro
gambo orma cauta
di tanto sperare
un grumo
 
il male per il male 
spezzato sarà
sangue e rose
 
i gesti crepati 
per questo solo
al termine del respiro
stiamo soli
a guardare altrove
guardando il finire fatto c
concreta cosa ultima
lacrima 
dalla soglia oramai conclusa
sradicate dunque siano l
le sue perdute rose 
 
*
la rosa che
non ha
fame la
rosa che non
ha sete la r
rosa che
decresce
nel suo splendore di
rosa reale
 
oh rosa c
che dal suo
protratto sonno
più non
esce più perpetra
il suo ad altri
fatto danno 
 
*
pensare a un
altro colore
 
ves
vestiti di altro
colore di
viole forse f
forse del bianco
delle rose ancora non
legate
 
gambo a spine
attesa a bocciolo
 
pensare al male a
al colore poi
 
solo 
 
*
abbaia la
terra il suo bisogno
di acqua ora
che è vecchia ora
che è secca
 
intubati i fiumi
a goccia
a goccia
a goccia
gocciando negano
senza pausa quanto
era bocciolo quanto
velluto di rosa 
 
*
si spegne si
è spento
 
inizio di rosa
 
una volta
c’era mai
più torna indietro si t
torce
rinasce
in altra
 
altro fiore a plasmarlo
diventa
che riconosce
nessuno di quanto
 
una volta c’era
 
era
dal profumo ridotto
a punto
a centro oscuro
al pianto
 
anfratto 

*
tutto si accende
 
un attimo
 
luminosi fiori
 
richiesta
di grazia di
giusta fine
 
nostra parola
sola dove sempre eri
sempre resti sempre b
bocciolo che
rinnova
 
polvere
di noi
seme
 
tenerci
ai fiori e
riconoscerli
saperli coltivare
oltre
 
questo dovrebbe
questo preme